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Geo-ingegnerizzazione del clima

Cos’è la geo-ingegnerizzazione del clima

Con geo-ingegnerizzazione si intende un qualsiasi intervento umano sull’ecosistema terrestre, effettuato in modo deliberato e su larga scala, con lo scopo di ottenere un cambiamento del clima. Si noti che molti ricercatori in questo campo di studi preferiscono non utilizzare il termine “ingegnerizzazione”, trattandosi di interventi effettuati su un sistema complesso (quello terrestre) che conosciamo ancora solo parzialmente. Un termine migliore e più rispondente al livello delle conoscenze attuali potrebbe essere il meno roboante “interventi sul clima”.

Esistono due classi di tecnologie di geo-ingegnerizzazione. La prima, relativamente beningna, vuole risolvere il problema dei cambiamenti climatici intervenendo sulle emissioni dei gas ad effetto serra, rimuovendo in modo controllato anidride carbonica. Una soluzione di rimozione ben conosciuta e studiata è la riforestazione. Altre soluzioni richiedono tecnologie, attualmente ad uno stato embrionale di sviluppo, che prelevano dall’atmosfera \(CO_2\) per stoccarla in depositi sotterranei impermeabili, dove dovrebbe rimanere per almeno alcune migliaia di anni. Queste technologie sono anche dette “ad emissione negativa” e vogliono in un certo qual modo riportare indietro le lancette del tempo, annullando gli ultimi secoli di emissioni umane di gas ad effetto serra e ripristinando quindi un equilibrio termico più favorevole alla vita sulla terra.

Il secondo gruppo di tecnologie cerca di intervenire sull’albedo (riflettività) della superficie terrestre (si veda il post sulla fisica dei cambiamenti climatici per un approfondimento). Lo scopo è quello di riflettere verso lo spazio parte della luce proveniente dal sole, in modo da generare un effetto di raffreddamento che maschererebbe provvisoriamente l’attuale riscaldamento provocato dall’eccesso di gas serra presenti nell’atmosfera. Uno degli esempi più noto di geo-ingegnerizzazione del sole consiste nel diffondere nella parte alta dell’atmosfera piccole particelle di aerosol (in genere solfati), che riflettono la luce solare esattamente come avviene quando si verifica una grande eruzione vulcanica terrestre.

Nel rapporto pubblcato dall'americana National Academies of Science (NAS), viene raccomandato uno stanziamento di 100-200 millioni di dollari nel corso dei prossimi cinque anni per meglio studiare e comprendere la fattibilità degli interventi per oscurare il sole, il rischio di conseguenze dannose indesiderate e se tale tecnologia possa essere governata in modo etico. Il NAS ha affermato che la riduzione delle emissioni di combustibili fossili rimane l'azione più urgente ed importante per affrontare la crisi climatica ma che, vista la preoccupante lentezza dei progressi sull'azione per il clima, tutte le opzioni disponibili devono essere studiate.

Esistono diversi metodi in entrambi i gruppi, in stadi di sviluppo diversi. Alcuni sono già commercializzati, altri solamente ipotizzati in pubblicazioni scientifiche. Ci soffermiamo dulle tecniche di modifica dell’albedo terrestre poichè generano gravi questioni di ordine etico e morale.

La modifica dell’albedo terrestre non è una soluzione

La geo-ingegnerizzazione è spesso indicata dai suoi promotori come una soluzione tecnica piuttosto rapida ai cambiamenti climatici, in contrasto alle lunghe e difficili azioni di riduzione delle emissioni, adattamento e mitagazione. Una sorta di assicurazione o ultima risorsa contro i peggiori esiti del cambiamento climatico. Il tutto basato sui presupposti di affidabilità, scalabilità ed accettabilità di tali soluzioni.

La realtà dei fatti è differente: all’ora attuale sono stati condotti esclusivamente test su piccola scala, che hanno mostrato già gravi problemi legati all’incertezza del sistema climatico ed a difficoltà di natura tecnica. La maggior parte delle proiezioni teoriche si basa dunque su studi di eruzioni vulcaniche del passato. L’impatto di un’eruzione vulcanica a breve termine potrebbe tuttavia essere ben diverso dall’effetto di una iniezione di aerosol sostenuta sul lungo periodo.

A questo fatto si sommano altre problematiche, come una modifica sostanziale ai pattern delle precipitazioni

Si veda ad esempio la pubblicazione "Climate response to large, high-latitude and low-latitude volcanic eruptions in the Community Climate System Model", di Schneider, Ammann, Otto-Bliesner e Kaufman, dove fenomeni di vulcanismo sia ad alte che basse latitudini sono stati associati ad una significativa riduzione delle precipitazioni globali, specie nelle regioni monsoniche.

e quindi una possibile e mondialmente diffusa perdita di raccolti, annullando tutti i benefici per l’agricoltura dati dalla riduzione del riscaldamento, secondo una ricerca guidata dal Jonathan Proctor dell’Università delle California, Berkeley pubblicata nel 2018.

O il fatto che per contrastare il forcing antropogenico in maniera efficace, se ne dovrebbe attuare uno molto più grande di quello naturale di origine vulcanica (e anche di quello legato alla variabilità periodica dell’irraggiamento solare), con effetti dunque difficili da prevedere.

Citiamo per approfondimenti la pubblicazione "Climate engineering through artificial enhancement of natural forcings: Magnitudes and implied consequences" di Ammann, Washington, Meehl, Buja e Teng, dove viene modellizzata una riduzione delle temperature tramite iniezioni di solfati nella stratosfera, e vengono studiati i relativi effetti sui climi regionali e sulla circolazioni oceaniche.

Ancora più importante è il fatto che le manipolazioni del clima porrebbero questioni etiche ed implicazioni che convolgerebbero pesantemente le future generazioni. Iniettare aerosol nella stratosfera non risolve infatti il problema dell’aumento della temperatura media globale, perchè non interviene sulle sue cause, e questo potrebbe facilmente distrarre l’attenzione dall’attuare politiche risolutive di ottimizzazione energetica e di riduzione sostanziale delle emissioni. Il che condurrebbe facilmente ad un inasprimento del problema ed alla necessità di continuare a spargere nell’alta atmosfera solfati per migliaia di anni (sic!) ed a cadenze regolari. Queste particelle restano infatti in sospensione per non più di un paio di anni mentre il ciclo di vita del diossido di carbonio nell’atmosfera ha una distribuzione “a coda lunga”, con una prima riduzione importante su un periodo di centinaia e migliaia di anni ed un lento assorbimento della parte rimanente su una durata pressochè infinita su scala umana (dell’ordine delle centinaia di migliaia di anni). Se non fossero reintegrate si tornerebbe nel giro di circa un decennio, alle condizioni di riscaldamento globale relative alla quantità di gas ad effetto serra che si è continuato ad accumulare nel frattempo nell’atmosfera. Con effetti devastanti sulla vita sulla terra, vista anche l’estrema rapidità di incremento delle temeperature.

E come triste nota conclusiva, come sottolineato dal titolo del libro divulgativo “Under a White Sky” di Elizabeth Kolbert, un’altra delle consequenze dell’immissione di solfati nella stratosfera sarebbe che per bloccare circa il 2% della radiazione solare, la quantità proposta dalle tecniche di modifica dell’albedo, il cielo diventerebbe più luminoso ed il suo colore blu (a cui siamo abituati, almeno in zone non altamente inquinate) sarebbe sostituito da un bianco pallido.

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