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Sesto rapporto IPCC

Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico /blog/climate-changes/2021-11-20/fermi-paradox

Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change - IPCC) è il foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) allo scopo di studiare il riscaldamento globale.

Esso è organizzato in tre gruppi di lavoro:

  • il gruppo di lavoro I si occupa delle basi scientifiche dei cambiamenti climatici
  • il gruppo di lavoro II si occupa degli impatti dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali e umani, delle opzioni di adattamento e della loro vulnerabilità
  • il gruppo di lavoro III si occupa della mitigazione dei cambiamenti climatici, cioè della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

L’IPCC non svolge direttamente attività di ricerca né di monitoraggio o raccolta dati: l’IPCC fonda le sue valutazioni principalmente su letteratura scientifica pubblicata in seguito a revisione paritaria e su rapporti delle maggiori istituzioni mondiali.

Questo post è un sunto brevemente commentato dell’ultimo rapporto (AR6-WG1) dell’IPCC (The Physical Science Basis of Climate Change, la scienza fisica alla base del cambiamento climatico) pubblicato il 9 agosto 2021 dal gruppo di lavoro I.

Il nuovo rapporto in cifre
  • 14000 pubblicazioni scientifiche valutate.
  • 234 autori provenienti da 65 paesi (28% donne, 72% uomini) hanno contribuito alla pubblicazione.
  • Il 63% degli autori non aveva partecipato alla redazione delle pubblicazioni IPCC precedenti.
  • Centinaia di ore di volontariato di scienziati accreditati.
  • 78000 commenti di scienziati e personale governativo sono stati trattati ed integrati nel documento finale.
  • 46 paesi hanno partecipato alla fase di rilettura (in video-conferenza viste le restrizioni sanitarie degli ultimi mesi).

I rapporti di valutazione periodicamente diffusi dall’IPCC sono alla base dei passati accordi internazionali in materia ambientale e climatica degli ultimi 30 anni:

  • Vertice sulla Terra di Rio de Janeiro (1992)
  • Protocollo di Kyōto (1997)
  • (Fallito) accordo di Copenaghen (2009)
  • Accordo di Parigi (2015)

Pur essendo politicamente rilevanti, non sono documenti di carattere politico, bensì rappresentano lo stato dell’arte della scienza dei cambiamenti climatici attuale.

La nuova pubblicazione in sintesi

L’ultimo rapporto dell’IPCC descrive con un livello di chiarezza senza precedenti il futuro del nostro pianeta, e la necessità di ridurre rapidamente fino ad eliminarle (netto zero), le nostre emissioni di gas serra.

Come il professor Albert Klein Tank, direttore del Met Office Hadley Centre ha detto:

Questo rapporto dipinge il quadro più chiaro che abbiamo mai avuto degli impatti globali e regionali del cambiamento climatico. Il tempo stringe per evitare gli impatti peggiori del cambiamento climatico, ed il rapporto ci ricorda anche che non esiste motivo scientifico per ritardare l'azione. La situazione è chiara. Proiezioni più mirate del futuro cambiamento climatico stanno rendendo alcuni risultati più ottimistici ancora più impegnativi da raggiungere, e questo dovrebbe essere un avvertimento per tutti.

Sensibilità climatica

Un avanzamento scientifico importante rispetto alla precedente pubblicazione è dato dall’aver potuto ridurre l’ampiezza dell’intervallo di sensibilità climatica, che rappresenta l’aumento in gradi centigradi della temperatura media globale ad ogni raddoppio della concentrazione di CO2 nell’atmosfera. Tale valore era rimasto sostanzialmente invariato dal 1979.

Il nuovo rapporto AR6-WG1 fornisce un intervallo di sensibilità climatica probabile (probabilità del 67%) compreso tra 2,5°C e 4°C ed un intervallo molto probabile (circa il 90%) tra 2°C e 5°C.

Allo stato attuale delle conoscenze la miglior stima della sensibilità climatica è dunque di 3°C.

Ricordiamo che il valore pre-industriale (nell'anno 1750) della concentrazione di CO2 era di 278 ppm) mentre la concentrazione attuale (giugno 2021) ha ormai raggiunto il valore di 417 ppm (+50%, esattamente a metà strada). Si veda il post precedente sulla fisica dei cambiamenti climatici per maggiori dettagli.

Se interessati alla ricerca scientifica che ha portato a questo risultato, rimandiamo al lavoro di Sherwood et al 2020: An Assessment of Earth's Climate Sensitivity Using Multiple Lines of Evidence .

Questo intervallo di sensibilità più ristretto è sia una buona notizia che una cattiva notizia. La cattiva notizia è che abbiamo molte meno probabilità di essere fortunati, cioè che i cambiamenti climatici saranno più miti di quanto gli scienziati prevedano. La buona notizia è che i risultati precedenti fondati su una sensibilità molto elevata, pari a 5°C o superiore, sono ora considerati molto improbabili (anche se non è possibile escluderli completamente).

Crescita delle temperature
Fusion in the Sun

Crescita delle temperature nei differenti scenari IPCC

Nota sugli scenari di emissione IPCC

Il rapporto AR6-WG1 valuta la risposta del clima in cinque scenari di emissioni future di CO2 ed altri gas serra (GHG: dall'inglese greenhouse gas). Essi modellizzano le diverse possibili scelte politiche ed economiche future che porteranno quindi a diversi livelli di emissione di gas serra. Questi scenari sono comunemente utilizzati nella letteratura scientifica.

Identificativo Emissioni
SSP3-8.5 Emissioni GHG molto elevate ed in particolare emissioni CO2 doppie dell'attuale intorno al 2050
SSP3-7.0 Emissioni GHG elevate ed emissioni CO2 a fine secolo doppie rispetto al valore attuale
SSP2-4.5 Emissioni GHG intermedie, emissioni CO2 attorno ai valori attuali fino al 2050 e poi decrescenti
SSP1-2.6 Emissioni GHG basse, emissioni CO2 a netto zero dopo il 2050 e negative in seguito
SSP1-1.9 Emissioni GHG molto basse ed emissioni CO2 a netto zero entro il 2050 e negative in seguito

Il riscaldamento medio previsto è ora da 0,1°C a 0,3°C più alto rispetto a quanto calcolato precedentemente (AR5, pubblicato nell’ottobre 2014) ed inoltre gli intervalli indicati vengono ora qualificati come molto probabili, cioè con solo una possibilità su dieci che il valore reale risulti al di fuori di tale intervallo (o equivalentemente affidabili al 90%).

L’AR6-WG1 indica che molto probabilmente verra raggiunta la soglia dei +1,5°C rispetto alle temperature pre-industriali nei primi anni 2030, in tutti e cinque gli scenari di emissione presi in considerazione (sic!), eccetto quelli ad emissioni più alte, per i quali tale soglia potrebbe essere raggiunta precedentemente.

Si noti che nei due modelli ad emissione minima (SSP1-1.9 e SSP1-2.6, le due curve in basso del grafico precedente) il valore della temperature globale, dopo aver raggiunto un picco superiore a 1,5°C, descrescerebbe fino a raggiungere un valore "ben inferiore ai 2°C a fine secolo". Nel caso SSP1-1.9 inferiore anche a 1,5°C. Questi due modelli sono dunque i soli compatibili con l'accordo di Parigi del 2015. SSP1-1.9 in particolare si basa pesantemente su ipotesi di emissione negativa, non realistiche o quantomeno azzardate allo stato tecnologico attuale, visto l'ormai limitato budget carbone rimasto prima del superamento di tali soglie di temperatura. Si veda oltre.

La soglia dei 2°C sarà superata nel corso del secolo negli scenari ad alta emissione (SSP5-8.5 e SSP3-7.0, le due curve più alte) e media emissione (SSP2-4.5, la curva mediana), a meno che non siano messe in atto azioni di riduzione rapida delle emissioni di CO2 e degli altri gas serra nei prossimi decenni. Ci sono più ampie incertezze e variabilità per questa seconda soglia, legate soprattutto alle risposta alle differenti emissioni future.

Future emissioni di gas serra nei cinque scenari

Future emissioni di gas serra nei cinque scenari — SPM-16

Il grafico precedente mostra gli andamenti previsti, nei differenti scenari di emissione, delle concentrazioni rispettivamente di CO2 (a sinistra), e di metano (CH4), protossido di azoto (N2O) ed anidride solforica (SO2). (a destra dall’alto in basso).

Forse è utile sottolineare a questo punto che l'ultima volta che la superficie terrestre ha raggiunto un incremento di temperatura pari o superiore a 2,5°C rispetto al periodo pre-industriale (o più precisamente rispetto alla temperatura media del periodo 1850-1900, considerata come assimilabile al valore del periodo pre-industriale) è stata oltre 3 milioni di anni fa, quando la nostra specie non era ancora comparsa sulla terra. Queste condizioni climatiche non sono dunque mai state incontrate dai nostri antenati e con estrema probabilità sono incompatibiliti con il modello di società globalizzata a cui siamo abituati oggi.

Cause dei cambiamenti climatici

L’AR6-WG1 sostiene ormai con sicurezza che il riscaldamento globale è dovuto all’azione umana. Gli effetti naturali (cicli di variabilità della radiazione solare, variazioni periodiche dell’orbita terrestre attorno al sole, …) avrebbero portato a temperature stazionarie o ad un leggero raffreddamento del clima.

Forcing delle temperature dovuto a natura ed uomo

Andamento delle temperature osservato e simulato — SPM-7

La curva in basso è ottenuta da simulazioni che considerano esclusivamente fenomeni naturali (variazioni cicliche solari ed eruzioni vulcaniche). Si noti come la linea nera (valori osservati) corrisponda invece molto bene ai dati di simulazione che prendono in conto sia i fenomeni naturali che gli effetti dovuti all’uomo.

Si noti anche come sia già evidente un deciso spostamento verso l’alto (temperature crescenti) cominciato soprattutto a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso.

L’aumento delle temperature indotto dalle azioni umane sta inoltre avvenendo ad una velocità che non si ritrova in nessuno dei periodi geologici passati. Il precedente periodo caldo risale a circa 125000 anni fa, ma è stato causato da lente (multi-millenarie) variazioni dell’orbita terrestre. Questo avrà un impatto rilevante e potenzialmente carastrofico sulla possibilità di adattamento di molti degli organismi viventi che popolano il nostro pianeta. Ma questo significa anche che il passato climatico difficilmente può fornirci un quadro preciso sull’evoluzione del clima futuro sulla terra e sul suo impatto sull’ecosistema.

Ricordiamo che ad ogni grande cambiamento climato terrestre passato si è sempre associata una estinzione di massa delle specie viventi, sia terrestri che marine, seguita da lunghi periodi della durata di milioni di anni di ripopolamento del pianeta.

Impatto dei cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici indotti dall’uomo stanno già influenzando molti eventi meteorologici e climatici estremi in ogni regione del mondo. La prova che i cambiamenti estremi osservati a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, quali le ondate di caldo, le forti precipitazioni, i fenomeni di siccità, l’aumento di intensità dei cicloni tropicali, siano da attribuire all’influenza umana, si è rafforzata rispetto alla pubblicazione AR5. In particolare per la maggior parte degli eventi estremi dal 2006 ad oggi, l’origine antropica è data ora come molto probabile (90% di probabilità).

La diminuzione delle precipitazioni monsoniche dal 1950 al 1980 è in parte stata causata dalle emissioni di aerosol dell’emisfero nord terrestre mentre il loro aumento a partire da tale anno è dovuto molto probabilmente all’aumento delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera.

Gli aerosol causano un raffreddamento, riflettendo la luce solare nello spazio e provocando uno squilibrio energetico temporaneo: più energia in uscita che in entrata. La terra ripristina l'equilibrio energetico raffreddandosi, riducendo così la radiazione di calore nello spazio. Secondo James Hansen l'effetto di forzatura degli aerosol prodotti dall'uomo (inquinamento da combustione di carbone e petrolio) è grande quasi quanto quello dovuta all'anidride carbonica, ma di segno opposto. Malgrado questa importante influenza sul bilancio energetico climatico, non sono purtroppo monitorati accuratamente come i gas serra.

Gli avanzamenti nel campo scientifico permettono inoltre di avere ora un quadro di tali impatti a livello regionale.

Si tratta di risultati basati sul recente e rivoluzionario metodo noto con il nome di World Weather Attribution (WWA), nato dall'attività di ricerca della climatologa tedesca Friederike Otto. Attraverso l'esecuzione di centinaia di scenari di simulazione, vengono comparate la probabilità di un evento estremo che si è verificato nel mondo nella situazione climatica attuale ed in quella che avremmo senza i gas serra riversati nell'atmosfera dall'uomo nel corso degli ultimi due secoli. In questo modo è possibile classificare rapidamente eventi estremi reali come causati dai cambiamenti climatici indotti dall'uomo, (con nuove implicazioni politiche e processuali) oppure al contrario non facilmente o debolmente correlabili a questi. Per un approfondimento si rimanda al libro di Friederike Otto "Angry Weather", pubblicato nel settembre 2020.

La situazione più chiara riguarda l’aumento delle temperature sulla superficie terrestre.

Variazione nelle temperature estreme

Aumenti estremi della temperatura — SPM-12

Per quel che riguarda le precipitazioni e gli eventi di grave siccità, solo in alcune regioni del mondo è stato raggiunto un accordo con una confidenza almeno media. Ad esempio per quel che riguarda l’aumento delle precipitazioni nel nord Europa (NEU, confidenza massima) e nella zona centrale degli Stati Uniti (CNA).

Variazione nelle precipitazioni estreme

Precipitazioni estreme — SPM-12

O dell’aumento della siccità nella fascia mediterranea (MED) e nell’est degli Stati Uniti (WNA). Quest’ultimo fenomeno già evidente da alcuni anni.

Situazione della variazione nei periodi di siccità

Variazione di intensità dei periodi di siccità — SPM-12

Molti cambiamenti nel sistema climatico diverranno via via più importanti in relazione diretta all’aumento del riscaldamento globale. Sono da includere l’aumento in frequenza ed intensità dei periodi di caldo estremo, le forti precipitazioni (già aumentate in modo rapido a partire dagli anni 80 del secolo scorso), la siccità agricola ed ecologica in alcune regioni, con un conseguente aumento di probabilità di portare a grandi incendi, ed un aumento del numero di cicloni tropicali ad alta intensità, nonché la riduzione della calotta polare artica, del manto nevoso in generale e del permafrost.

La superficie terrestre continuerà a scaldarsi più della superficie oceanica (da 1.4 a 1.7 volte). La zona artica si scalderà ad un ritmo molto probabilmente pari a due volte la media del riscaldamento globale e sarà con estrema probabilità priva di giacci a fine estate (mese di settembre), almeno una volta prima del 2050, in tutti e cinque gli scenari di emissione. La superficie è già diminuita del 40% rispetto al 1979, anno di inizio delle osservazioni satellitari.

Su scala planetaria, è prevista una intensificazione delle precipitazioni giornaliere estreme pari a circa il 7% per ogni grado di riscaldamento globale, dovuta al fatto che l’atmosfera riscaldandosi è in grado di accumulare più vapor acqueo prima di scaricarne l’eccesso in pioggia.

Le temperature globali continueranno ad aumentare fino ad almeno il 2050 e molti dei cambiamenti dovuti alle emissioni di gas serra passati e futuri saranno irreversibili in un arco di tempo che va da secoli a millenni, specialmente per quel che riguarda gli oceani (stratificazione, acidificazione anche nelle acque profonde e de-ossigenazione), lo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai e l’aumento del livello degli oceani.

In particolare sul lungo termine, il livello del mare è destinato ad aumentare per secoli e millenni a causa del riscaldamento profondo degli oceani (che secondo recenti studi ha già raggiunto i 700m di profondità) e dello scioglimento dei ghiacciai e delle calotte glaciali e rimarrà a livelli elevati per migliaia di anni.

L’innalzamenti dei mari si traduce in una minaccia crescente per gli insediamenti costieri a causa dell’erosione delle coste, dell’aumento del rischio di inondazioni e mareggiate e della salinizzazione dei suoli in ambiente costiero.

Il livello medio dei mari si è innalzato di 20 cm dal 1901 al 2018, e la sua crescità, pari attualmente a 3.7 mm annui, sta accelerando in modo molto rapido. Era quasi tre volte inferiore nel periodo 1901-1971 (1,3 mm all’anno). Un innalzamento di tale entità non si è mai verificato negli ultimi 3000 anni e sta già provocando problemi seri, per citare solo alcuni esempi, in Florida e lungo la costa orientale degli Stati Uniti ed in Bangladesh (in cui il 50% del territorio è a meno di un metro dal livello del mare).

La prima causa delle crescita del livello dei mari nel periodo 1971–2018 (circa il 5O%) è stata l’espansione termica.

Situazione della variazione nei periodi di siccità

Variazione del livello globale dei mari dal 1900 — SPM-29

Secondo tutti gli scenari IPCC di emissione dovrebbe restare al di sotto del metro a fine secolo. La metà se gli accordi di Parigi saranno rispettati. Questi valori sono più elevati di quelli presentati nella relazione AR5, che a loro volta erano circa un 60% più elevati dei valori AR4.

Si noti tuttavia che una ulteriore curva (quella tratteggiata) è stata aggiunta nel rapporto AR6. Essa rappresenta l’aumento ben più importante che si avrebbe in scenari ritenuti attualmente poco probabili (ma non irrealistici ed ignorabili), quelli cioè in cui si verificasse una improvvisa e diffusa instabilità della calotta glaciale marina e delle scogliere di ghiaccio marino dell’Antartide o cambiamenti più rapidi del previsto nel bilancio di massa superficiale e perdita dinamica di ghiaccio in Groenlandia.

Sul più lungo periodo, nei prossimi 2000 anni, il livello medio globale del mare aumenterà di circa 2-3 metri se il riscaldamento rimarrà limitato a 1,5°C, da 2 a 6 metri se limitato a 2°C e da 19 a 22 metri a 5°C di riscaldamento, e continuerà probabilmente a salire nei successivi millenni.

Riporto un interessante punto trattato nel libro "Global Warming, Understanding the Forecast" di David Archer, professore e ricercatore in scienze geofisiche all'Università dell'Indiana. Se poniamo su un grafico i dati del livello dei mari nelle varie epoche geologiche rispetto alla temperatura globale media di ogni periodo, Livello dei mari nel passato e proiezione IPCC

Livello dei mari nel passato terreste e proiezione IPCC

notiamo come questi dati stiano con buonissima approssimazione su di una linea retta. Nel grafico è rappresentata anche la previsione IPCC per l'anno 2100. Le ricostruzioni geologiche suggeriscono che se la Terra rimanesse abbastanza a lungo più calda di 3°C, il livello del mare potrebbe aumentare di circa 50 m.

Azioni di limitazione del riscaldamento globale

Infine l’AR6-WG1 discute i risultati del nuovo Zero Emissions Model Intercomparison Project (ZECMIP) ed il restante budget CO2 che permetta di rispettare gli accordi di Parigi, che in quest’ultimo rapporto di valutazione ha avuto diversi miglioramenti.

Budget carbone e temperature

Stima delle emissioni storiche e budget carbone residuo — Table SPM.2

L’umanità ha emesso un totale di circa 2390 gigatonnellate di CO2 nel periodo 1850-2019. La quantità rimanente che possiamo emettere dipende dalle nostre ambizioni di mantenere la temperatura media globale al di sotto di 1,5°C o 2,0°C.

Per un'idea del budget carbone restante, citiamo i dati ourworldindata.org secondo i quali le emissioni hanno raggiunto nel 2018-2019 il valore di 36 gigatonnellate annue, con un trend in continua ascesa. Il che significa che per restare entro gli 1.5°C con una probabilità alta (83%), restano solo 8 anni di emissioni al livello attuale, ed in seguito passare di colpo al netto zero!

Da un punto di vista fisico, limitare il riscaldamento globale ad un dato livello richiede almeno il raggiungimento del netto zero delle emissioni di CO2 ed una forte diminizione delle emissioni nell’atmosfera degli altri gas ad effetto serra. Esiste infatti in prima approssimazione, una relazione quasi-lineare tra incremento di temperature e CO2 cumulata nell’atmosfera.

Linearità tra CO<sub>2</sub> cumulato ed aumento delle temperature

Relazione tra riscaldamento globale e CO2 cumulata — SPM-37

Una forte diminuzione delle emissioni di metano è inoltre necessaria per limitare inoltre sul breve periodo l’aumento della temperatura dovuto alla diminuzione degli aerosol emessi attualmente dalla combusione fossile e migliorerebbe anche la qualità dell’aria, con effetti benefici sulla salute e sull’ambiente.

Eventuali tecnologie di rimozione di CO2 dall’atmosfera (CDR) e stoccaggio a tempo indefinito in opportuni giacimenti geologici potranno potenzialmente compensare le emissioni residue ed aiutare il raggiungimento del netto zero delle emissioni. A più lungo termine, se esisteranno tecnologie tali da portare la rimozione di CO2 a livelli superiori alle emissioni (situazione che viene comunemente chiamata emissione negativa), sarà possibile ridurre il riscaldamento globale e probabilmente anche il livello di acidità degli oceani. Tuttavia gli effetti cominceranno ad essere visibili su un periodo di almeno un paio di decenni nel primo caso e molto più lungo nel secondo.

Il metano è temporaneo, CO2 è per sempre

Il documento AR6-WG1 si concentra particolarmente sulle emissioni di metano. Il metano è un potente gas ad effetto serra — circa 100 volte più efficace dell'anidride carbonica nell'intrappolare il calore, ed è responsabile di circa il 28% del riscaldamento gobale. Tuttavia il metano ha una vita relativamente breve nell'atmosfera (circa un decennio), poichè interagisce con i radicali idrossilici (OH), riducendosi essenzialmente in anidride carbonica ed acqua. Questo porta ad una importante implicazione: la quantità di metano presente nell'atmosfera dipende principalmente dal tasso di emissione ed una diminizione di emissioni porterà rapidamente ad une diminizione della sua concentrazione così come del suo impatto climatico.
L'anidride carbonica si comporta in modo molto diverso: rimanendo stabilmente nell'atmosfera per decine di migliaia di anni, la sua concentrazione ed il suo effetto climatico è dato dalla quantità accumulata durante questo lunghissimo periodo. Contrariamente al metano dunque, una stabilizzazione delle emissioni annuali di anidride carbonica avrebbe come effetto un aumento progressivo e continuo della temperatura globale. Non sarà nemmeno possibile raffreddare il pianeta diminuendo le emissioni, poichè la quantità cumulata nell'atmosfera continuerà comunque a crescere (ad un ritmo soltando rallentato). Occorrerà elimininarne più di quanto ne produciamo, ripiantando/ripristinando enormi estensioni di boschi e foreste o sviluppando apposite tecnologie CDR.

Conclusioni

Dietro tutta l’analisi scientifica dettagliata e l’enorme quantità di materiale e studi scientifici su cui si basa, risuona forte e chiaro un semplice ma importante messaggio: l’utilizzo massivo di combustibili fossili e la deforestazione su larghissima scala hanno provocare un riscaldamento rapido della Terra, siamo noi i responsabili e ne siamo assolutamente sicuri.

Il risultato della nostra passata inazione ha già fatto si che gli episodi di calore estremo, le piogge torrenziali, le siccità e gli incendi siano più frequenti e severi in ogni parte del mondo. E lo saranno ancor più in futuro. La situazione è grave, ma c’è ancora del tempo per agire ed evitare almeno gli impatti più devastanti dei cambiamenti climatici da noi indotti. Il nostro futuro (climatico) in definitiva è ancora almeno in parte nelle nostre mani, ma potrebbe non restarlo ancora a lungo.

Politiche forti di riduzione delle emissioni sono da mettere in atto da subito, così come un miglioramento sostanziale delle nostre capacità di prevenzione, risposta ed adattabilità (se mai questo sarà possibile) agli eventi estremi ormai in atto ovunque e che sappiamo si intensificheranno in frequenza e gravità nei prossimi anni e decenni.

licenza CC BY-SA 3.0